AMERICAN IN ME w/ CRICKET PRESS and peanut butter
11
luglio
Sara Turner risponde ai nostri microfoni on the road, e ci svela che basta essere affiatati come burro d’arachidi e marmellata per poter fare rock posters.
D.: Cricket Press è un fortunato esempio di studio grafico in cui due menti convivono felicemente. E’ difficile trovare un buon socio, che capisca le esigenze della propria azienda. Come nasce il vostro rapporto?
R.: Ci siamo conosciuti al college, frequentavamo la stessa classe di fotografia e abbiamo fatto amicizia. All’inizio ci siamo dati un semplice appuntamento, poi siamo arrivati al matrimonio! Eravamo entrambi molto attivi artisticamente, ma dopo la scuola abbiamo dovuto lavorare ciascuno secondo le proprie priorità. Brian dipingeva, io facevo scultura. Diversi anni dopo la scuola e il matrimonio abbiamo iniziato a illustrare e a imparare come serigrafare…ecco come è iniziata Cricket Press!
D.: Negli Stati Uniti esistono molte realtà come la vostra, ci sono numerosi studi grafici che lavorano sui rock posters. Quale collega è un vostro punto di riferimento?
R.: Sia Methane Studios che Aesthetic Apparatus furono la nostra prima ispirazione. Possedevamo già alcuni posters di entrambi gli studi grafici prima di cominciare a fare il nostro mestiere, e tutti e due furono estremamente gentili quando gli chiedemmo consigli e pareri. L’artista che ci ha influenzato di più però è stato Jay Ryan. Iniziammo a collezionare i suoi lavori e restammo basiti davanti alla semplicità della sua magnifica arte. Dipingevamo nel suo stile, con colori che non erano propriamente adatti al rock poster per l’epoca…diciamo che lui ci ha aperto gli occhi.
D.: Il rock poster parla di musica. Che rapporto avete con essa? La considerate l’aspetto principale, o ha la meglio l’immagine?
R.: Dipende tutto dallo spettatore. La gente compra e/o colleziona rock posters per tantissime ragioni. Alcuni per via della band, o perché hanno partecipato a quel concerto; l’arte non è sempre il primo motivo della scelta. Certe persone preferiscono collezionare lavori di un artista in particolare, e allora non importa che prodotto faccia. E altre apprezzano il matrimonio fra musica e immagine. Personalmente, se notiamo un poster specifico che ci piace per design e illustrazione, non facciamo molto caso alla band! Un bel poster è un bel poster.
D.: Molti artisti di rock poster utilizzano le fotografie, voi cosa ne pensate?
R.: Funziona se riesci a crearla da te, o a farla tua. In altre parole, fino a quando si utilizza la fotografia – o qualsiasi altra risorsa materiale – per fonderla a un’unica estetica, si parla di arte. Come dicevamo prima, esistono molteplici fattori che fanno di un poster un’opera d’arte. Un buon artista può usare qualsiasi attrezzo a sua disposizione e creare un prodotto eccelso.
D.: Dal 2003 ad oggi è passato molto tempo. Come pensate sia cambiato il rock poster?
R.: Ho imparato a serigrafare da autodidatta perciò ci è voluto del tempo affinchè entrassimo in confidenza con il processo pratico e, al contempo, con il nostro stile illustrativo. Ci sono stati parecchi inciampi, difficoltà in curva e, in definitiva, posters che non riuscivamo nemmeno ad esibire in mostra. Ora possiamo dire di aver trovato la nostra estetica, la nostra linea espressiva. E realizzare un poster per noi risulta un processo molto più naturale, adesso.
D.: Avete partecipato a numerose esposizioni e diversi Flatstock (Austin, Chicago, Seattle). Com’è l’atmosfera? Avete mai partecipato al Flatstock europeo?
R.: Sfortunatamente non abbiamo mai partecipato al’edizione Europea, ma ad ogni Flatstock Americano in cui siamo stati l’atmosfera era molto calda e familiare. La comunità di poster artists è abbastanza esclusiva, ma sa anche accoglierti a dovere. Il primo Flatstock a cui abbiamo partecipato è stato Austin 2004. Era solo la quarta edizione, e noi non avevamo ancora un portfolio fiorente. Eravamo parecchio nervosi di incontrare artisti che ammiravamo e fremevamo al pensiero di riuscire ad essere accettati o meno nello scenario del rock poster. Ma abbiamo lasciato che il festival partisse, e con sorpresa abbiamo scoperto una scena artistica che ci supportava e, cosa ancora più importante, ci riconosceva come colleghi e professionisti. E’ stato molto incoraggiante!
D.: Infine, una domanda IPRA: che famosa coppia potreste essere?
R.: Domanda strana…io direi burro di arachidi e marmellata!