AMERICAN IN ME W/ CROSSHAIR SILKSCREEN
14
novembre
AMERICAN IN ME si concede una seconda pausa tedesca sulle orme del Flatstock 8 che circa un mese fa ha infiammato Amburgo. Crosshair Silkscreen era presente nella persona di Dan MacAdam, pel di carota di Chicago che ci ha concesso questa intervista.
D.: Crosshair Silkscreen Design è un modo originale di fare poster art: solitamente pensiamo a disegni psichedelici piuttosto che all’uso di architetture e fotografia. Come hai iniziato a dare una linea simile alla tua arte?
R.: Ho sempre pensato alla musica come a un mezzo di ‘trasporto alternativo’: se ascolti buona musica e chiudi gli occhi, puoi trovarti ovunque; nei posti più impensati. Sono così stufo dei classici poster psichedelici à la Fillmore…si tratta di un immaginario che ha le radici negli anni Sessanta, il chè significa che è passato. Io ammetto e riconosco il significato di quella gloriosa epoca della rock art, ma per me è noiosa, e lo sono ancora di più tutte le moderne imitazioni.Per me, e forse per me soltanto, le mie creazioni sono psichedeliche. Ricordo quando Daydream Nation dei Sonic Youth fu pubblicato; chiusi gli occhi e vidi tutte quelle cose arruginite, disintegrate, fisse ma vive di energia. E’ così che volevo funzionasse la mia arte.
D.: Oggi la grafica utilizza uno stile e una composizione che mi ricordano gli anni Sessanta. I tuoi lavori per me hanno il medesimo sapore vintage nel momento in cui scegli un preciso carattere tipografico o quando elabori la foto come se fosse una polaroid: momento fugace catturato durante un viaggio on the road. E’ una giusta interpretazione?
R.: Credo di si. Io mi guardo intorno. In molte città ma sopratutto a Chicago, tutti i vecchi edifici hanno segni dipinti sui muri, da quaranta, sessanta o ottant’anni; spesso sono sovrapposti, vissuti e scarsamente riconoscibili. Mostrano perfettamente i gusti passati dei tempi in cui vennero fatti. Sono segni dipinti a mano, e anche io di conseguenza cerco di creare caratteri tipografici da per me. E’ molto difficile fare in modo che un carattere inesistente diventi tridimensionale una volta al computer.
D.: Quali sono i tuoi artisti preferiti?
R.: Per quanto riguarda la rock art Art Chantry, Hipgnosis, Ron Liberti, Tooth, Sonnenzimmer, Kathleen Judge, Mara Piccione, e molti altri. Per la pittura Bernd & Hilla Becher, William Christenberry, George Grosz, Otto Dix, Gerhard Richter, Weegee, Walker Evans, J.M.W. Turner, e i paesaggisti americani come Thomas Cole…potrei andare avanti all’infinito! Ma ammetto che Hipgnosis e i Becher sono la mia principale fonte di ispirazione.
D.: L’uso costante delle architetture come soggetto dei tuoi poster può limitare le tue prospettive? Come si rinnova il tuo lavoro?
R.: Non è qualcosa di limitante. Non ho mai attribuito alla scelta di un insieme di soggetti fissi l’idea del limite; anzi questo mi permette di esplorare la faccenda più a fondo, e di seguire tutti i nuovi possibili percorsi. In più la scelta specifica mi ha reso riconoscibile, e questo è di grande aiuto.
D.: La musica ha un ruolo fondamentale nella creazione del rock poster. Credi che sia più importante dell’immagine?
R.: L’immagine è il mio riferimento alla musica, e senza la musica non potrebbe esistere. Sarebbe sbagliato pensare all’immagine e alla musica come entità separate.
D.: Infine, una domanda IPRA: che disco ascolti in questo periodo?
R.: Ascolto i Circle, una band finlandese che è nella mia testa costantemente. Farò anche qualche posters per la reunion di una delle mie band anni Novanta preferite, i Codeine, e di recente ho ascoltato molto anche loro per decidere che cosa disegnare. Infine, ultimamente ho rimesso su Yeti, degli Amon Duul, sempre slendido.